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Categoria: Impasti

Joe Stanchi
Puntata, Staglio e Appretto? e cosa sono?
" Se vuoi avere dei risultati davvero simili alla pizza della pizzeria, non puoi fare a meno di scoprirne di più. "
Joe Stanchi
Executive Pizza Chef

Nel momento in cui lessi dell’esistenza di termini tecnici per la fase di preparazione dell’impasto…capii che dietro la pizza c’è una scienza, uno studio, e mi vergognai anche un pochino per non averlo neanche sospettato prima di allora.

Fino a quel momento avevo avuto delle idee abbastanza bizzarre  su quale potesse essere “il segreto” per fare una vera pizza napoletana, inventando per esempio improbabili miscele di farine che avrebbero dovuto miracolosamente portarmi a chissà quali risultati.

Benarrivato/a in questo mondo un po’ nascosto, fatto di “ovvietà” che sono tali solo per chi è già esperto dell’argomento, e che sicuramente è molto lontano dalle semplificazioni che puoi trovare suoi blog di cucina più comuni.

 

Ma arriviamo al punto cercando di farti capire il significato delle 3 fasi (puntata, staglio e appretto) e a spiegarlo in modo più semplice possibile.

Probabilmente già sai che nella preparazione dell’impasto della pizza napoletana esistono 3 momenti importanti:

  • l’impasto
  • la formazione dei panetti
  • la stesura.

Hai presente quando ti raccomandano di lasciar lievitare l’impasto nella ciotola per un paio d’ore? Perfetto, quella prima lievitazione, tra l’impasto e la formazione dei panetti, è la cosiddetta “Puntata”.

La definizione di “Staglio” invece, è un termine usato per indicare il momento in cui si formano i panetti.

Tralasciamo il fatto che anche se i tempi di lievitazione dell’impasto della pizza napoletana possono essere molto lunghi (anche più di 24 ore) in realtà la formazione dei panetti è l’unica fase che richiede il tuo intervento.

Una volta creati i panetti cosa farai? Ovviamente li lascerai lievitare per la seconda e ultima volta e questa è la fase denominata “Appretto“.

Ma quali sono gli effetti sull'impasto?

Avrai già avuto a che fare con la puntata, lo staglio e l’appretto, anche se forse non sapevi che si chiamassero così.

E quindi perché se ne parla tanto?

In realtà, il nocciolo della questione non sono i termini, ma la durata delle due fasi di lievitazione, e la tecnica di staglio.

Infatti questi fattori deducono il risultati come:

  1. L’elasticità dell’impasto, e quindi la capacità di stendere le tue future pizze in modo facile e senza provocare strappi o buchi.
  2. L’aroma, nonché la digeribilità della pasta, caratteristiche queste legate ad una maturazione sufficientemente lunga dell’impasto.
  3. L’aspetto del cornicione, che si spera sia gonfio e spugnoso!

Ecco perché saperne di più su puntata, staglio e appretto, interessa anche agli appassionati del “fai da te”, a prescindere dal metodo di cottura che adotteremo.

Cornicione alto e spugnoso

Il cornicione alto e spugnoso allo stesso tempo è la caratteristica che identifica a primo impasto la tipica pizza napoletana.

Cottura 400°

Pochissimi secondi per avere una cottura apparentemente bruciacchiata che nasconde una bontà unica unica del suo genere.

Alta digeribilità

Seguendo le fasi corrette con i tempi giusti per la lievitazione e maturazione dell'impasto si ottiene un prodotto altamente digeribile.

Mozzarella Fior di Latte o Bufala?

Non solo la mozzarella deve essere Fior di Latte o di Bufala DOP ma anche il pomodoro ha il suo ruolo decisivo. Basilico fresco a completare una esplosione di sapori tradizionali.

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Joe Stanchi
Temperatura degli impasti

Calcolare la giusta temperatura dell’acqua per avere una temperatura ottimale di fine impasto.

 

La temperatura di ogni impasto lievitato contiene microrganismi viventi  ( lieviti e batteri viventi), di conseguenza, la temperatura dell’impasto  deve essere idonea al loro metabolismo.

La temperatura ottimale per la moltiplicazione delle cellule del lievito è + 25 – 30 °C. Le cellule del lievito cominciano a moltiplicarsi già al momento dell’impastamento. Quindi per favorire la loro moltiplicazione, la temperatura finale dell’impasto deve essere intorno a +25÷28 °C,  più alta per gli impasti molli (hanno una temperatura finale intorno a +27 °C), mentre per un impasto asciutto è +23°C (anche perché,generalmente, dopo l’impastamento gli impasti asciutti subiscono un’operazione di cilindratura che porta a un loro ulteriore  riscaldamento).

Per ogni impasto è importante raggiungere la temperatura finale richiesta. Se un impasto è troppo freddo, il glutine risulterà formato in modo non completo (si dice che l’impasto “non ha forza”) , inoltre la fermentazione viene rallentata. Viceversa, un’impasto eccessivamente riscaldato avrà una maglia glutina troppo rigida e quindi parzialmente strappata, avviene inoltre la liquefazione dell’impasto (anche a causa degli enzimi più attivi) . Un impasto di questo tipo avrà una fermentazione troppo veloce e un elevato grado di acidità.

Il valore della temperatura finale dell’impasto dipende da quattro fattori:

  1. dalla temperatura dell’ambiente  (dove si impasta)
  2. dalla temperatura della farina: di solito la farina è più fredda di 1°C rispetto all’ambiente ( se si trova nell’ambiente di lavoro), ma se proviene da un altro ambiente (dal magazzino o dal silos), la sua temperatura può essere diversa;
  3. dalla temperatura d’acqua nell’impasto, che deve essere calcolata;
  4. dal calore fornito dall’impastatrice, riportato nella seguente tabella:

i valori del riscaldamento dell’impasto provocato dall’impastatrice variano in base al modello dell’impastatrice, al riempimento della vasca e al metodo  dell’impasto (diretto o indiretto)

Il maggior riscaldamento dell’impasto asciutto è determinato dalla sua maggiore resistenza all’impastatrice.
Conoscendo la temperatura finale dell’impasto (che dipende dal suo tipo) e gli altri tre fattori, si può calcolare la temperatura dell’acqua per l’impasto di tre gradi corrisponde al riscaldamento dell’impasto finale di un grado.

Le principali fasi di calcolo della temperatura dell’impasto e relativi procedimenti

Quindi prima di procedere al dosaggio dell’acqua per l’impasto, è importante determinare la sua temperatura che può essere calcolata usando la seguente formula:

Temperatura dell’acqua = temperatura finale dell’impasto x 3
(-) Temperatura dell’ambiente
(-) Temperatura della farina
(-) Gradi di riscaldamento dall’impastatrice

per esempio, se si ha un impasto morbido, l’ambiente è di +28°C, e un’impastatrice del tipo “a spirale”:

Temperatura finale dell’impasto  (+25°C) x3  = 75 –
temperatura dell’ambiente            (+28°C)          28 –
Temperatura della farina               (+27°C).         27 –
Riscaldamento dall’impastatrice  (+9°C)             9 = 11

La temperatura dell’acqua sarà +11 °C.

Questi calcoli derivano dal maestro Piergiorgio Giorilli,  dall’applicazione di una formula ricavata da numerosi esperimenti pratici . Se la temperatura dell’acqua fosse troppo bassa, si consiglia di portarla a +4 °C.

Vi suggerisco di leggere il Libro di Giorilli e Lipetskaia dal titolo “Panificando” un MUST dei libri sulla panificazione, un libro rivolto a tutti i colleghi che amano veramente la professione del pizzaiolo e panificatore, dedicandovi il proprio estro e la propria creatività

 

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Joe Stanchi
Biga o Polish? quali sono le differenze

Biga e poolish: il metodo indiretto

La Biga ed il Poolish sono degli impasti fermentati che costituiscono il primo step di un particolare metodo di preparazione dei lievitati che si chiama metodo indiretto.

Si tratta sostanzialmente di un primo impasto fermentato a cui vengono successivamente aggiunti gli altri ingredienti per completare la ricetta.

Il vantaggio di preparare biga e poolish è di tipo qualitativo; la lunga fermentazione del primo impasto scompone una buona parte delle proteine della farina e produce delle sostanze aromatiche importanti per il prodotto finito; ma non solo, preparando un preimpasto si riduce automaticamente  la quantità di lievito di birra.

La biga

La prima differenza da ricordare quando si parla di Poolish e Biga è che differiscono dalla quantità di acqua.

La biga è un impasto solido/asciutto che può avere molte ore di fermentazione (da 16 a 48 ore).

La biga è ottenuta con farina e lievito di birra (anche lievito madre). In base alla quantità di lievito si stabilisce la temperatura di lievitazione e il tempo.

Per esempio, una biga corta fatta in inverno, conterrà l’1% di lievito e fino al 50% di acqua; il tempo di lievitazione sarà di circa 20 ore a 18°/20°C. D’estate invece il lievito sarà ridotto a 0,7% e l’acqua fino al 40%; le temperature fino a 25°C ridurrano il tempo a 16 ore al massimo.

Per bighe lunge invece (si parla di 48 ore di lievitazione) la temperatura deve essere bassa: +4°C escluse le ultime 24 ore a +18°C. D’estate invece serviranno solo 16 ore.

Il poolish

A differenza della biga, il poolish è un impasto liquido fatto con la stessa dose di acqua e farina.

Un impasto liquido fermenta in un tempo minore, a parità di lievito, rispetto ad uno solido. Quindi il vantaggio di utilizzare del poolish consiste nell’avere un tempo di fermentazione inferiore.

Possiamo avere, infatti,  dei Poolish Rapidi, fermentati dalle 2 – 4 – 8 ore in cui la quantità di lievito rispetto al peso della farina varia da (3% – 1,5% – 0,5%).

Al contrario per un Poolish maturato dalle 12 – 18 ore, si useranno circa il 0,2% e lo 0.1% di lievito sul peso della farina.

Il giusto grado di maturazione di questo impasto è visibile quando al suo centro di crea una leggera depressione ed il profumo che emana non è troppo pungente.

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Joe Stanchi
Pizza senza glutine con la farina di grano saraceno, ecco la ricetta

Chi è celiaco non deve per forza rinunciare a uno dei simboli più rappresentativi dell’Italia in cucina oltre che piatto famoso in tutto il mondo: si può infatti preparare la pizza senza glutine con un impasto a base di farina di grano saraceno, e la si può consumare in tutta sicurezza. Il grano saraceno infatti pur chiamandosi così è una delle farine senza glutine più utilizzate per preparare non solo la pizza ma anche pane, dolci e altri prodotti da forno, nonché i pizzoccheri valtellinesi.

Pizza senza glutine, ingredienti e procedimento

Per preparare questa ricetta servono:

Per l’impasto
400 gr di farina di grano saraceno
10 gr di lievito di birra fresco
un cucchiaino raso di sale
un cucchiaio di olio extravergine di oliva

Per il condimento
200 gr di mozzarella in panetto
salsa di pomodoro q.b.
olio extravergine q.b.
origano q.b
sale q.b.

L’impasto preparato con la farina di grano saraceno è diverso dal solito ma rappresenta una sfiziosa alternativa anche per tutti gli amanti della pizza, non solo i celiaci, anche perché è più digeribile. Si parte disponendo su una spianatoia di legno la farina a fontana. Dopo aver sciolto il lievito in un po’ d’acqua, in cui avreste sciolto il cucchiaino di sale, la si versa a poco a poco sulla farina iniziando a impastare. Aggiungete l’olio e ancora acqua se necessario finchè non otterrete un panetto liscio e omogeneo. Ponete l’impasto in una ciotola, coprite con la pellicola trasparente e mettete a lievitare in un luogo caldo (ad esempio nel forno con la luce accesa o accanto a un calorifero in inverno) per almeno 2/3 ore, finché il tutto non avrà raddoppiato il suo volume.

Trascorso questo tempo oliate una teglia per pizza e versate al suo interno l’impasto. Iniziate a lavorarlo e a stenderlo bagnandovi i polpastrelli con l’olio per far sì che non attacchi. Se desiderate una pizza più soffice, dopo aver preparato la teglia mettetela ancora a lievitare. Preparate a parte la salsa con il pomodoro, olio, sale e origano a piacere e cospargetela sulla superficie della pizza. Aggiungete la mozzarella tagliata a dadini e infornate a 250 gradi per 10 minuti (ma il tempo di cottura dipende dal tipo di forno e dallo spessore della pasta, controllate periodicamente che si cuocia bene sul fondo sollevando la pizza dalla teglia con l’aiuto di una forchetta). Al termine della cottura servite.

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Joe Stanchi
Perchè la pizza mette sete?
Vi siete mai chiesti perché si dice “ma che pizza che è?” Ve lo diciamo noi: questo detto popolare deriva dal fatto che la pizza spesse volte ci risulta pesante e difficile da digerire, ecco svelato il motivo. A chi di voi non è mai capitato di mangiare una pizza e poco dopo avvertire un senso di gonfiore, pesantezza e soprattutto tanta voglia di acqua? Sicuramente è capitato a tutti almeno una volta, ma è sbagliato associare questi sintomi a “effetti collaterali” della pizza come alimento in sé. Questo perché se la pizza è preparata nel modo corretto non dovrebbe provocare alcun tipo di disagio! Al contrario di quanto si possa pensare, questi “piccoli” inconvenienti non derivano esclusivamente da una lievitazione troppo breve, ma da una maturazione insufficiente o da una scarsa qualità degli ingredienti utilizzati. Facciamo una distinzione tra lievitazione, in cui l’impasto aumenta di volume grazie all’azione del lievito che trasforma gli zuccheri e libera l’acqua e l’anidride carbonica; e la maturazione, in cui gli enzimi presenti nella farina e l’acqua scompongono gli amidi e il glutine. La lievitazione avviene di solito in tempi rapidi, è la maturazione ottimale che invece dipende da diversi fattori: farina, temperatura dell’ambiente e tempo di lievitazione. A seconda del tipo di farina utilizzata quindi si dovrà gestire diversamente il tempo di maturazione. Con farine forti la durata si allunga e di conseguenza è necessario rallentare la lievitazione e favorire i processi di scomposizione dell’amido, mantenendo l’impasto a basse temperature per un periodo da 24 a 72 ore. Se si utilizza una farina più debole invece possono bastare 8-10 ore di maturazione a temperatura ambiente. Se la maturazione quindi viene effettuata in modo corretto la pizza sarà sicuramente più digeribile e gustosa senza la necessità di dover aggiungere sale che serve a sopperire all’insufficiente maturazione e che causa quindi la sete.  
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Joe Stanchi
Digeribilità della pizza

La lievitazione,  utilizzato molto spesso a sproposito, è uno dei processi fondamentali per la riuscita di un buon impasto. Se vogliamo semplificare il concetto, si potrebbe pensare all’amalgama di acqua e farina che si gonfia prima e durante la cottura rendendo la nostra pizza leggera e piena di bolle. Più precisamente, dobbiamo immaginare un processo secondo cui i lieviti, cibandosi di zuccheri, si moltiplicano e producono gas, trattenuti dal glutine, ossia dalla struttura dell’impasto.

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I lieviti hanno un metabolismo che può variare sulla base di alcune condizioni:

 

 

la temperatura ambientale: con clima e ambiente caldi i lieviti corrono e lavorano a ritmo sostenuto, viceversa in ambiente freddo la loro attività risulta rallentata in modo più o meno consistente.
il tempo: varia sulla base della quantità di lievito utilizzata in ricetta ed è influenzato dalla temperatura e da altri fattori, che concorrono a velocizzare o rallentare il metabolismo delle cellule di lievito (ad esempio acqua e sale).
il sale: con la sua azione disinfettante, rallenta le cellule del lievito permettendo, con i giusti dosaggi, di controllarne parzialmente l’attività.
l’acqua: aiuta in parte ad accelerare le attività degli enzimi presenti nell’impasto che producendo zucchero aumentano l’attività dei lieviti.

Ma la digeribilità di una pizza non è data da una corretta lievitazione come spesso si sente in giro, ma bensì da un altro importante processo: la maturazione.

Riposo dell’impasto

La farina è composta principalmente da amidi, ovvero zuccheri complessi. Quando si aggiunge acqua, gli enzimi della farina si attivano attaccando gli amidi e riducendoli in zuccheri semplici: serviranno come cibo per i lieviti e verranno assimilati più facilmente dal nostro corpo. L’unione di farina e acqua sviluppa inoltre il glutine, ovvero il reticolo proteico che serve a dare struttura all’impasto. Il reticolo viene attaccato da altri enzimi che hanno la funzione di trasformare le proteine in amminoacidi, più semplici da digerire. La pizza è quindi ben digeribile quando il nostro sistema digestivo troverà nell’impasto cotto elementi semplici che sono stati già trattati e ridotti dagli enzimi. Il processo che permette tutto questo si chiama appunto maturazione.

Pizza Classica al suolo:

Ma da cosa dipende una maturazione corretta dell’impasto? Dalla diversa forza – o quantità di glutine – che sviluppa una determinata farina e dal tempo di riposo che serve per far lavorare gli enzimi una volta concluso l’impasto. A seconda della farina utilizzata, si può lavorare un impasto a temperatura ambiente sia in inverno che in estate, basta dosare attentamente lievito e sale. Questo accade ad esempio nella pizza classica cotta al suolo che viene fatta riposare a temperatura ambiente dalle 8 alle 12 ore e utilizza farine di media forza.

La pizza in teglia:

Se invece dovessimo preparare una pizza in teglia, realizzata quindi con farine di forza superiore, il riposo a temperatura ambiente sarebbe impossibile a causa della grande quantità di acqua necessaria per la riuscita di questo impasto. In questo caso ci vengono in aiuto le celle frigorifere, o più semplicemente, il nostro frigo. Il freddo rallenta il lavoro dei lieviti fino al minimo necessario agli enzimi per continuare la loro attività e far maturare l’impasto completamente. La permanenza al freddo deve essere direttamente rapportata alla forza della farina utilizzata e alle dosi degli ingredienti (acqua, lievito, sale). Alcuni impasti possono impiegare anche molto tempo, fino a 96 ore in cella frigorifera.

In sintesi:

ogni impasto andrebbe progettato dosando il lievito e calibrando la ricetta con modalità e tempi di lavorazione e riposo giusti al fine di permettere alla maturazione di avvenire correttamente.

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Joe Stanchi
Tipi di lievito

Uno dei fondamenti della panificazione è conoscere i lieviti e saperli usare correttamente e con questo articolo cercheremo di fare un po’ di chiarezza in questo campo.

Prima di tutto facciamo una grande distinzione: esistono lieviti naturali o biologici e lieviti chimici ma prenderemo in considerazione soltanto i primi citati.

Nei lieviti naturali la colonia di microogranismi presente naturalmente nell’impasto agisce, a contatto con gli zuccheri contenuti, e fermenta, producendo spontaneamente alcol e anidride carbonica, che fanno l’azione di gonfiare l’impasto.

Tra i lieviti naturali troviamo :  

Lievito di birra

AgrodolceSi tratta di una massa di cellule del microrganismo (Saccaromyces Cerevisiae), ottenute attraverso la fermentazione alcolica e poi separate da un brodo di cottura generalmente composto da melasso, sali nutritivi e lievito madre. Essendo qualcosa di vivo, il lievito di birra fresco ha una breve data di scadenza, ma può essere surgelato per durare di più; si conserva più a lungo il lievito di birra liofilizzato o secco, a cui quindi si toglie l’acqua, che si presenta sottoforma di polvere in bustine. Il lievito di birra ha un alto potere depurativo, è antiossidante ed è un’importante fonte di vitamina B, proteine e sali minerali. Per utilizzare nelle nostre ricette il lievito di birra fresco va prima fatto sciogliere in acqua tiepida, a 28° circa. Il lievito di birra secco va invece “riattivato” mettendolo in acqua tiepida zuccherata, senza mescolarlo, ma aspettando che produca una gonfia schiuma. Se invece è lievito di birra secco istantaneo va semplicemente aggiunto agli altri ingredienti della ricetta.
Lievito madre
pasta_madre_lievito_madreAnche detto pasta acida, si ottiene semplicemente dall’unione di farina e acqua più degli attivatori (come ad esempio miele, aceto di mele o yogurt) che andrà poi fatta riposare per circa 2 settimane ad una temperatura di 25°: a contatto con l’aria la microflora dell’impasto si moltiplicherà spontaneamente, fermentando e creando una miscela di microrganismi di vario tipo, come batteri o fermenti lattici. Il lievito madre è semplicissimo da produrre in casa propria ed ha maggiore durata e conservabilità, poiché l’impasto risulterà più acido, con minore tendenza a sviluppare muffe. Dona alle ricette un sapore acidulo piuttosto particolare, che non tutti gradiscono, ma risulta maggiormente digeribile rispetto al lievito di birra e dà fragranza e appetibilità agli alimenti. Il lievito madre va conservato in frigorifero e rinfrescata, ogni 6-7 giorni o comunque prima di ogni utilizzo, con altra acqua e farina. Il lievito madre, a differenza del lievito di birra compresso, contiene al suo interno anche un gran numero di lactobacilli responsabili della fermentazione lattica che si sviluppa al meglio in tempi medio lunghi con determinate condizioni climatiche (temperatura in primis). L’utilizzo della lievitazione naturale porta ad allungare le tempistiche di riposo degli impasti per fare in modo che possano lievitare bene prima di essere infornati. Quindi avremo un tempo maggiore di ore a disposizione di un impasto che servirà sia per lievitare ma soprattutto per maturare, un processo fondamentale che rende più digeribile l’impasto grazie all’azione di determinati enzimi al suo interno: questo avviene correttamente solo quando determinate tempistiche vengono rispettate. Schermata 2014-12-09 alle 22.44.38
La maturazione è un processo fondamentale che rende più digeribile l’impasto e richiede tempi lunghi
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Joe Stanchi
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