Che tipo di mozzarella?

Latte, fermenti lattici, caglio e sale. Sono questi i “4” ingredienti della vera mozzarella di qualità.
Il processo di produzione è semplice, ma richiede delle fasi precise e dettagliate partendo da quella in cui si aggiungono i fermenti lattici al latte fresco, per ottenere un’ambiente acido, e poi il caglio ricavato dallo stomaco dei bovini per ottenere la cagliata. Questa deve riposare per 3-4 ore per poi procedere infine all’aggiunta del sale e alla bollitura dell’impasto (la filatura) e al raffreddamento che la trasformerà in mozzarella.
Anche se è uno dei prodotti più consumati dagli italiani (il 95% dichiara di consumarne almeno una al mese), pochissimi sanno che in commercio ci sono 5 o 6 tipologie di mozzarella, che si differenziano tra loro in base alle materie prime con le quali sono prodotte.
Non sempre infatti il latte fresco fa da padrone in questo processo. Soprattutto per il costo elevato delle materie prime (5/6 euro al kg), si fa sempre più ricorso all’uso di cagliate conservate ossia semilavorati ottenuti sempre dal latte ma meno costosi perchè prodotti in paesi più competitivi come Germania, Lituania e Polonia, dove latte e lavorazione costano meno.

Un’altra variante per accelerare e sorpassare la fase della fermentazione è sostituire i fermenti lattici con acidi citrici e lattici, oppure esiste anche la “mozzarella” senza latte, ottenuta dalla cagliata sciolta in acqua calda.
Infine troviamo la mozzarella “all’americana”, o pasta filante, usata soprattutto per la pizza, prodotta con cagliate conservate miscelate con proteine del latte in polvere ed eventualmente formaggio fuso per migliorare le proprietà di filatura una volta cotta.
La normativa vigente purtroppo non obbliga le aziende a riportare sulle etichette l’indicazione di origine delle materie prime dei formaggi e per questo motivo il ricorso alle cagliate è in costante aumento.
Michele Faccia e Aldo Di Luccia, docenti alla Facoltà di Agraria all’Università di Bari, hanno messo a punto un sistema per capire se una mozzarella è stata fatta con latte fresco o con sottoprodotti. Essi affermano inoltre che di fronte a tanta confusione c’è l’esigenza di ridefinire le categorie merceologiche (come avvenne per il latte pastorizzato con la legge 169/89) e far capire alla gente che la mozzarella si fa solo attraverso un tipo di procedimento.
Tutti gli altri formaggi a pasta filata, che costano meno e che rappresentano circa il 50% del mercato, possono continuare ad essere commercializzati solo a patto che si definiscano con esattezza gli ingredienti sull’etichetta.


























Si tratta di una massa di cellule del microrganismo (Saccaromyces Cerevisiae), ottenute attraverso la fermentazione alcolica e poi separate da un brodo di cottura generalmente composto da melasso, sali nutritivi e lievito madre.
Essendo qualcosa di vivo, il lievito di birra fresco ha una breve data di scadenza, ma può essere surgelato per durare di più; si conserva più a lungo il lievito di birra liofilizzato o secco, a cui quindi si toglie l’acqua, che si presenta sottoforma di polvere in bustine.
Il lievito di birra ha un alto potere depurativo, è antiossidante ed è un’importante fonte di vitamina B, proteine e sali minerali.
Per utilizzare nelle nostre ricette il lievito di birra fresco va prima fatto sciogliere in acqua tiepida, a 28° circa.
Il lievito di birra secco va invece “riattivato” mettendolo in acqua tiepida zuccherata, senza mescolarlo, ma aspettando che produca una gonfia schiuma.
Se invece è lievito di birra secco istantaneo va semplicemente aggiunto agli altri ingredienti della ricetta.
Anche detto pasta acida, si ottiene semplicemente dall’unione di farina e acqua più degli attivatori (come ad esempio miele, aceto di mele o yogurt) che andrà poi fatta riposare per circa 2 settimane ad una temperatura di 25°: a contatto con l’aria la microflora dell’impasto si moltiplicherà spontaneamente, fermentando e creando una miscela di microrganismi di vario tipo, come batteri o fermenti lattici. Il lievito madre è semplicissimo da produrre in casa propria ed ha maggiore durata e conservabilità, poiché l’impasto risulterà più acido, con minore tendenza a sviluppare muffe. Dona alle ricette un sapore acidulo piuttosto particolare, che non tutti gradiscono, ma risulta maggiormente digeribile rispetto al lievito di birra e dà fragranza e appetibilità agli alimenti.
Il lievito madre va conservato in frigorifero e rinfrescata, ogni 6-7 giorni o comunque prima di ogni utilizzo, con altra acqua e farina.
Il lievito madre, a differenza del lievito di birra compresso, contiene al suo interno anche un gran numero di lactobacilli responsabili della fermentazione lattica che si sviluppa al meglio in tempi medio lunghi con determinate condizioni climatiche (temperatura in primis). L’utilizzo della lievitazione naturale porta ad allungare le tempistiche di riposo degli impasti per fare in modo che possano lievitare bene prima di essere infornati. Quindi avremo un tempo maggiore di ore a disposizione di un impasto che servirà sia per lievitare ma soprattutto per maturare, un processo fondamentale che rende più digeribile l’impasto grazie all’azione di determinati enzimi al suo interno: questo avviene correttamente solo quando determinate tempistiche vengono rispettate.



